Italian (Bryn Mawr)

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    Social and Linguistic Marginalization, and the Question of ‘Standard’: An Analysis and Translation of Giulio Cesare Cortese’s La vaiasseide
    (2023) Marsella, Lina; Benetollo, Chiara; Genovese, Giulio
    This thesis focuses on Giulio Cesare Cortese’s La vaiasseide, a mock epic poem written in 1612 in the Neapolitan language, a marginalized Italo-Romance language. This poem is incredibly innovative within the genre of chilvaric epic poetry, for it challenges the genre’s established linguistic, literary, and gender conventions, offering insight into the intersection of linguistic and social norms. For this project, I have engaged Cortese’s poem in two ways. On the one hand, I conducted a literary and socio-linguistic analysis of La vaiasseide. In the first part of the thesis, I discuss the linguistic background of Italy in order to contextualize Cortese’s choice to write in Neapolitan. Furthermore, I draw upon Cortese’s own words in order to analyze the social impact of his linguistic choice and his choice to portray working class women in a genre they are often left out of. On the other hand, I translated a canto of the poem. Of the poem’s five cantos, I chose to work with and translate the second canto. Throughout the process of translation, I asked myself – what did it mean to write this poem in Neapolitan? How can that significance be maintained through the act of translation? As Cortese’s translator, I had to confront the question of ‘standard’ language and, in turn, the question of what it means to be a ‘non-standard’ language. I faced many obstacles as a translator, with issues ranging from practical issues to theoretical, the most daunting of which being the task of deciding which languages and language varieties to translate into, and how to best translate a marginalized language. Consequently, my translation is an intrinsic part of my thesis, for it serves as an interpretive tool that complements my literary analysis. Together, the translation and the analysis illuminate La vaiasseide as Cortese’s response to the growing standardization of the Italian literary and linguistic canon, while raising broader questions about the intersection of linguistic, literary, and socio-cultural norms.
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    Continuità ed innovazione nella concezione machiavelliana della Fortuna
    (2020) Reichwein, Matthew; Ricci, Roberta
    In questa tesi io contestualizzerò le elaborazioni di Niccolò Machiavelli sulla Fortuna nel Principe (1532). Attraverso una analisi critica dello sviluppo storico-filosofico del concetto della Fortuna, dimostrerò che queste discussioni machiavelliane sono state molto influenzate da scrittori precedenti. Nello stesso tempo, la concezione machiavelliana della Fortuna rimane molto innovatrice, un fatto confermato dalle tracce della sua scrittura che si trovano in altre opere ed altri contesti storici. Nell'Introduzione, "Machiavelli e la continuità storico-filosofica della Fortuna", presenterò alcuni elementi che saranno chiavi per le mie elaborazioni contenutistiche: Il Principe di Machiavelli, la Fortuna, la metodologia critica intertestuale e, infine, l'argomentazione più profonda di questa tesi: il chiarimento di alcuni punti della percezione critica dello sviluppo storico del concetto dell'azione umana, come questo viene illustrato nel discorso intellettuale sulla Fortuna. Nel Capitolo I, "Machiavelli: un figlio fortunato della tradizione classico-medievale", tratterò il rapporto fra Machiavelli ed il suo passato attraverso un paragone fra le opere di Aristotele, Boezio, Dante e lo stesso autore del Principe. In particolare, a differenza di critici come Thomas Flanagan, che scrive, "[Dante's] opinions on fortune were still distinctively medieval" (132), argomenterò che la visione dantesca non era paralizzata in una concezione medievale della Fortuna. Sottolineerò i legami fra la Fortuna dantesca e quella machiavelliana – legami che servono, nello stesso tempo, ad allontanare la visione dantesca da quella di Boezio. Cioè, già nelle opere di Dante si può vedere il germe della concezione machiavelliana della Fortuna. Ma lo sviluppo della Fortuna non è stato lineare dopo la pubblicazione del Principe nel 1532. Nel Capitolo II, "Figlie sfortunate: Machiavelli, il genere ed il Seicento francese", sottolineerò una tensione seicentesca francese fra due perspettive sulla funzione della Fortuna. Da una parte, filosofi e scienziati maschili hanno provato a controllare il caso – oppure, la Fortuna. Il lavoro di Blaise Pascal con le teorie della probabilità è esemplare di questo tipo di lavoro in accordo con la proposta machiavelliana di controllare la Fortuna. Da un'altra parte, molte figure letterarie e femminili – cioè, che si oppongono alla mascolinità prepotente – scrivono contro la capacità umana di controllare la Fortuna. Ad esempio, Madeleine de Scudéry scrive nel suo Clélie, histoire romaine: « [La] fortune se moque de la prévoyance des plus habiles » (5: 475); « [La] fortune se moque de la prudence humaine » (5: 505). Paragonando queste perspettive, elaborerò alcuni degli elementi sociale – cioè, scienza o filosofia contro letteratura e mascolinità contro femminilità – che tendono a contribuire all'interpretazione personale delle elaborazioni machiavelliane sulla Fortuna. Nella Conclusione, "Figli fortunati: Machiavelli ieri ed oggi," confermerò l'argomentazione più profonda di questa tesi e l'importanza della metodologia critica intertestuale. Poi, indentificherò le numerose direzioni future possibili di questo studio e le domande più pertinenti che meriteranno più riflessione. Concluderò per presentare riflessioni sulla praticità contemporanea della mia analisi. Malgrado la distanza cronologica dei testi studiati in questa tesi, numerosi elementi rimangono pertinenti oggi.
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    Un (mio) viaggio ai margini di Roma: turismo, multiculturalismo e italianità
    (2018) Fisher, Rebecca
    Questa tesi esplora le rappresentazioni del multiculturalismo in Italia. Questa rappresentazione ha importanti implicazioni per i migranti in Italia oggi al livello sociale, legale e culturale. Questa tesi esplora due esempi di promozione del multiculturalismo in Italia: Il cinema e il turismo. Il capitolo I esamina il mito di uniformità nella prima parte e sfida questa omogeneità con la storia del multiculturalismo in Italia. Nella seconda parte discuto la paura di stranieri e il ruolo dei media. Uso la teoria di Alessandro Dal Lago, un sociologo Italiano per parlare della paura e le rappresentazioni di ‘stranieri’ come invasori e criminali. Anche parlo della rappresentazione di migrazione come un problema sociale. Uso gli eventi correnti e le statistiche per mostrare come immigranti rappresentati in Italia. Il capitolo II interroga la tema della rappresentazione del multiculturalismo nel cinema. La prima parte esamina la resistenza contro l’idea d’Italia come multiculturale. Il film Le fate ignoranti (2001) regista di Ferzan Özpetek è usato per mostrare un modello di presentare il multiculturalismo come naturale è positivo. Analizzo il personaggio di Antonia per dimostrare come il multiculturalismo ha benefici per più di persone chi sono emarginati. Il film gioca e esplora l’alterità in Italia. Il capitolo III indaga la storia di pellegrinaggi e come questa storia rende il turismo molto importante oggi per l’impegno culturale. Questo ci porta alla mia discussione di Migrantour. Usa la mia ricerca sul campo che ho fatto a Roma durante l’inverno del 2018. Uso intervisti, testi e risultati dalla ricerca.
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    «No, nun so’ stata io!»: I libri non-finiti di Carlo Emilio Gadda
    (2014) Bindert, Victoria; Ricci, Roberta
    La vita e le esperienze di C.E. Gadda hanno formato il suo stile unico. Gadda è cresciuto nella casa con la madre da solo, dopo la morte di suo padre nel 1909. Sua madre ha continuato a mantenere l’apparenza di ricchezza, che ha infuriato Gadda e ha creato la sua rabbia contro la borghesia. Questo è importante perché le opere di Gadda sono autobiografiche, e i protagonisti rappresentano Gadda e i suoi pensieri del mondo. Poi nel 1920, Gadda si è laureato in ingegneria elettrica, che ha influenzato molto il suo stile di scrivere. Vediamo quest’aspetto dello stile di Gadda nel suo modo di scrivere della «concausa» nella realtà e anche nell’uso delle parole tecniche in un modo combinatorio. Secondo Gadda, «solo la scienza sembra di non soffrire di contraddizioni: perciocché essa non costituisce mai un sistema totale, ma una pluralità di posizioni» (Meditazione milanese, 126). Prova di portare quest’attitudine scientifica alla letteratura. Le interazioni nella realtà nel mondo esistono in una rete complessa. Per Gadda, «Every point on the map of possibility can be a starting point, every object a web that radiates outward» (Dombroski). Gadda è conosciuto per lo stilo combinatorio, chiamato «pastiche» con cui prova a rendere difficili da capire le sue parole. Il pastiche è una mescolanza di codici linguistici diversi che crea l’effetto di stravolgimento. Gadda fa la scrittura così perché il mondo è anche difficile da capire. Specificamente nella mia tesi, studio un altro aspetto importante dello stile di Gadda: i libri «non-finiti.» Analizzo due dei lavori più importanti di Gadda, La cognizione del dolore (1963) e Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana (1957). In quei due libri, c’era un’uccisione in cui non sappiamo alla fine chi era colpevole. Ci sono sospetti e teorie di chi potrebbe essere l’assassino, ma non lo sappiamo con certezza la soluzione vera. Provo a cercare una risposta alla domanda, «perché Gadda non ha dato un nome al assassino?» e l’impatto di questo stile sul lettore. Mostro che, secondo Gadda, non dobbiamo sapere chi era colpevole a causa dell’incertezza, l’inconoscibilità, e l’indeterminazione degli eventi. Per Gadda, «Ma io lo considero finito…letterariamente concluso. Il poliziotto sa che è l’assassino e questo basta».
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    Lo scontro delle tre realtà nel Decameron: la peste, la brigata e le novelle
    (2009) Gupta, Pritika; Ricci, Roberta
    La peste descritto da Boccaccio nel Decameron rappresenta la corruzione morale della gente afflitta dalla pestilenza. Vedendo “l’universale dissolvimento della vita civile” (Russo, 37), siamo pietrificati dalla paura e gustiamo il poco tempo che rimane perdendo ogni norme della società. Per scappare dalla pena di morte, dieci fiorentini formano una brigata e vanno fuori della città di Firenze. La brigata vuole evadere il pericolo immorale e mortale della peste, e va alla ricerca d’un rimedio morale. Passa dieci giorni raccontando delle storie piacevoli. Scelgono un re o regina per ogni giornata del Decameron che in suo posto sceglie un argomento della conversazione del proprio governo. Mentre la peste rappresenta la corruzione morale dell’umanità e la caduta dell’uomo, la brigata rappresenta la fuga della gente ed il suo desiderio per l’ordine e per mantenere la civiltà umana nella faccia di gran paura e caos. La nuova realtà della brigata è un microcosmo dentro la realtà vera della corruzione morale del nostro mondo. Attraverso le cento novelle, la brigata discute varie soggetti e le loro moralità. Comunque, Boccaccio usa delle storie che hanno l’abilità di farci allontanare dalla via giusta; racconta delle novelle piacevoli ed immorali. Secondo me lo fa per darci una fuga divertente dagli effetti bruttissimi e dolorosi della peste. Quindi, esistono tre realtà nel Decameron: la realtà corrotta della peste, il mondo morale della brigata, ed il mondo della gente raccontata nelle cento novelle. Penso che Boccaccio provi a esplorare le complessità della natura umana. Parliamo qui del potere persuasivo della retorica, la divisione fra i generi, e la presenza dell’Eros nelle novelle. Discutendo la complessità della realtà attraverso il scontro delle tre realtà del Decameron, i lettori imparano e crescono.